13 March 2013

Quindici minuti di gloria


In questo momento sarei dovuto essere in acqua.

Ma oggi ho rinunciato all’ultima occasione di surfare in settimana per alcuni piccoli ma importanti impegni. Da domani saro’ impegnato ogni giorno e da lunedi prossimo inizio un nuovo lavoro che mi rendera’ un comune mortale, lasciandomi solo i weekend per andare a surfare.
Si e’ quindi appena concluso un anno di surf che ha cambiato la mia vita. Quanto e  per quanto a lungo non lo so.

Domenica sono andato a Noosa in compagnia di S. e di un amico spagnolo.
Quest’ultimo surfa da qualche anno ma sporadicamente, per via degli impegni di lavoro. Tornava quindi in acqua dopo mesi di assenza, ed era munito di una fish, una tavola corta e cicciottella prestata da un amico. Su questo punto ci tornero' piu’ tardi.

Le onde erano da quaranta centimetri al First Point, circa un metro al National Park, quasi due sotto al lookout che credo si chiami Boiling Point, e oltre due metri a Tea Tree.
Noi siamo entrati a Little Cove e abbiamo remato verso il National Park. Era affollatissimo anche per via del Surf Festival. 
Un carnaio. Ma le onde era bellissime.
Al National Park erano di quella grandezza che andavo cercando da mesi. Sul metro appunto, alte e potenti il giusto. Facili rispetto ai mostri di Coolangatta che ho sfidato per settimane.
Per via della folla era comuque difficilissimo prendere un onda.
Ma per una combinazione astrale ho avuto 15 minuti di -immaginaria- gloria.
Sara’ che avevo dormito bene e mangiato bene il giorno prima, sara’ che mi ero allenato bene in palestra, che avevo fatto la colazione giusta, che invece di piovere c’era il sole. Non lo so. Ma dopo le prime bracciate, che sono sempre le piu’ stancanti, ho trovato l’entusiasmo e l’energia.
Ho cominciato a remare per cercare il punto migliore, tentando di mettermi in pole position rispetto alle persone intorno a me, e ho cominciato a prendere le onde in barba al traffico.  E piu’ ne prendevo piu’ mi gasavo, piu’ remavo e mi davo da fare per tornare in posizione.
Per quindici minuti mi sono scatenato.
Ormai il problema di fare nose diving e capottare non l’ho piu’, e le onde di Coolangatta mi hanno insegnato come saltar su anche sui precipizi. Cosi’ ho preso tutte le onde che ho voluto. Ovviamente non tantissime, ma in numero di tutto rispetto dato appunto l’affollamento.

Lo spagnolo si trascinava caparbiamente e inutilmente sul fish, mentre S. si dava da fare riuscendo pero’ per via del traffico a cogliere solo qualche scarto d’onda, per brevissime cavalcate.
Io invece per quei 15 minuti durante i quali Nettuno mi ha fatto una carezza, ho surfato.
Sono saltato su sicuro, ho girato la tavola, ho fatto un passo avanti per prendere velocita’, un passo indietro per correggere la rotta, ancora avanti, con le braccia composte, quasi eretto, filando liscio su quei doni del mare mentre gli altri mi davano strada. Un onda in particolare e’ poi diventata molto piccola e per non perderla mi sono avventurato sin sull’adesivo al centro del muso della tavola, un record per me, a trenta centimetri della punta estrema. Ed un attimo prima che l’onda si rompesse, son corso indietro sollevando il muso e atterrando dolcemente insieme alla schiuma sull’acqua poco sotto, ancora inesorabilmente in piedi e in controllo.
Cosi’ come per magia ho messo insieme tutte le cose su cui avevo ragionato e provato per mesi, e che sapevo fare e alle quali mi ero avvicinato nelle ultime uscite proprio a Noosa, ma che sino all’altro giorno il mio cervello aveva eseguito solo in momenti distinti.
Ero sulla luna!
Bellissimo. Fantastico. Inebriante.

Ovviamente ho avuto i miei momenti fantozziani ai quali non rinuncio mai. Qualche caduta ridicola, qualche colpo preso dalla tavola, uno che si e’ incazzato per non avergli dato strada, e cose simili. Ma tutte dovute al fatto che ero sull’onda l’attimo prima.

I quindici minuti di grazia sono poi passati e col cambio della marea le onde e la loro distribuzione sono cambiate. Sono tornato nella mia normalita’, accanto a S. in attesa di prendere qualcosa. La folla e’ aumentata e la stanchezza pure. Dopo piu’ di due ore abbiamo optato per una pausa e poi per una camminata a Tea Tree, dove forse S. sperava di avere piu’ chance di prendere onde in pace.
Io ero pessimista dato che c’era comunque gente, le onde sembravano piu’ grandi e la situazione simile a quella di Coolangatta, con schiuma ovunque, corrente e grandi muri d’acqua da affrontare. Ma S. giustamente voleva provarci sino all’ultimo ed allora ho deciso di seguirlo.
L’entrata in acqua tra le roccie mi ha visto danneggiare in modo grave la mia tavola quando sono passato sopra qualche punta a pelo d’acqua. Ma essendo gia’ vicino al punto di impatto e con roccie ovunque, avevo poco a cui pensare. Appena c’e’ stato un momento di pausa ho remato come un disperato in diagonale e ho evitato il nuovo set di onde giusto in tempo. S. invece, la cui tavola piu’ performante della mia galleggia meno, faceva fatica –fa sempre piu’ fatica di me- a remare e quando il set di onde serie e’ arrivato era ancora la’ in mezzo. E’ stato travolto per un po’ e poi caparbiamente si e’ riportato nella stessa posizione, senza venire dove stavo io, di lato, per poi essere travolto ancora.
Io ero in un punto in cui cinque onde su dieci passavano via liscie e neanche surfabili, quattro si ergevano credo fino a 2 metri sopra la mia testa e ci passavo sopra giusto prima che si scatenasse l’inferno, e una di loro era enorme e si rompeva venti metri prima di tutte, per cinquanta metri di larghezza. 
Cosi’ dopo dieci o venti minuti a scalare montagne prima che mi divorassero, non vedendo piu’ S. ne tanto meno lo spagnolo, tentavo di capire come tornare a riva senza farmi male. E a quel punto e’ arrivata l’onda gigante il cui ricordo mi suscita ancora il panico. Fortunatamente per una volta ho fatto la scelta giusta e un attimo prima che mi arrivasse addosso ho puntanto dritto verso la spiaggia e aspettatto l’impatto. Che e’ stato fortissimo. Un calcio in culo stellare. Ovviamente ero sdraiato e mettendo tutto il peso sulla coda ho evitato la terribile opzione di finire sotto e rotolare per chissa’ quanto tra le roccie, la tavola ed altre persone. Sono filato invece liscio liscio sino a riva, come per magia. Ma eviterei volentieri di rifarlo.    
Quella breve, inutile sessione a Tea Tree mi ha fatto incontrare onde che ancora non avevo visto. Erano piu’ alte e piu’ spaventose di quelle di Coolangatta e non ho nessuna voglia di incontrarle nuovamente.

La mia tavola ha subito uno squarcio di 4cm circa, sul fondo, al centro. In questo momento una resina particolare si sta fissando sopra, per evitare che altra acqua entri in contatto con l’interno della tavola. In teoria, non essendo fatta a mano e avendo una diversa costruzione, dovrebbe essere comunque impermeabile. Ma non ci scommetterei. Ho fatto un bel danno. La prossima uscita vedro’ come si comporta la resina, se sembra tutto ok, o se col tempo la tavola affondera’. Nel qual caso dovro’ pensare all’acquisto di una nuova prima del previsto. Pensare che avrei fatto a meno di entrare a Tea Tree.

Il discorso del Fish invece coinvolge piu’ S. che me. 
Lui parla spesso con un australiano che se la cava benino con lo shortboard e stava convincenco S. a prenderne uno. Io non gli ho mai detto di lasciar perdere, ma l’idea dello shortboard, per quanto affascinante, e’ sempre meno interessante ai miei occhi.

Piu’ tempo passa e’ piu’ mi e’ chiaro il fatto che con quelle tavole devi praticamente cadere sulla faccia dell’onda nel momento stesso in cui si sta rompendo, e ovviamente mettertici in piedi e iniziare la surfata per andar via da li! Significa che non puoi provare in 40cm di docile onda, ma in almeno un metro di acqua verticale. Il che richiede di lottare con valanghe d’acqua, e tutto quel che ne consegue. Significa ricominciare da capo tutto il processo in un contesto piu’ difficile dell’attuale. Come se non fosse stato gia’ abbastanza difficile imparare a cavalcare i miei quaranta centimetri.
Per di piu’ a Noosa S. ha provato ad usare il Fish in prestito allo spagnolo, scoprendo che rimane completamente immerso nell’acqua e che si fa dieci volte piu’ fatica a spostarsi, e che non reagisce per niente neanche al passaggio della schiuma. Il Fish, che e’ una versione facile dello shortboard(!), ha bisogno di pareti verticali. Nient'altro.

Non saprei dire a cosa stia pensando ora S. in merito al passaggio allo shortboard che l’australiano gli ha messo in testa. A me non interessa per niente. La mia gioia nel cavalcare le onde sta aumentando in modo esponenziale, ad ogni tassello che aggiungo alle mie cavalcate.
Sono arrivato al punto in cui governo veramente la tavola, prendo tutte le onde che voglio da zero ad un metro e mezzo, e sto sviluppando il mio stile. Voglio continuare a migliorarmi e a divertirmi sempre di piu’. Dopo un anno e cinque mesi di tentativi, sono dove mi immaginavo di essere da principiante. Ingenuamente. Ora non ho tempo da perdere.

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